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14 aprile 2011

Il "tempo tuta" non sempre deve essere retribuito

La Corte di Cassazione, lo scorso 8 aprile 2011, con sentenza n. 8063,  è tornata a trattare dell'argomento "tempi di vestizione" (o "tempo tuta") affermando che sono legittime le clausole dei contratti collettivi di lavoro che prevedono la mancata retribuzione per il tempo che il lavoratore dedica ad indossare gli indumenti da lavoro, accogliendo il ricorso di un'azienda contro quattordici dipendenti che avevano ottenuto, dal giudice di prime cure, la retribuzione, spettante a titolo di compenso per lavoro straordinario, per i cd "tempi di percorrenza" e per i cd "tempi di vestizione". La Suprema Corte, richiamando la giurisprudenza formatasi sul tema, ha ribadito che per valutare se il tempo occorrente per indossare la divisa aziendale debba essere retribuito o meno, occorre fare riferimento all'eventuale previsione all'interno del contratto della “facoltà del lavoratore di scegliere il tempo e il luogo” in cui vestirsi, per esempio presso la propria abitazione. 
In quest'ultimo caso tale attività è assimilabile ai comuni “atti di diligenza preparatoria allo svolgimento dell’attività lavorativa” e dunque “come tale, non deve essere retribuita mentre se tale operazione è diretta dal datore di lavoro, che ne disciplina il tempo ed il luogo di esecuzione, rientra nel lavoro effettivo e di conseguenza il tempo ad essa necessario deve essere retribuito".