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23 novembre 2015

No al licenziamento disciplinare se c'è sanzione conservativa

L’utilizzo improprio della e-mail aziendale e l’elusione, da parte del lavoratore, delle specifiche informative e dei molteplici avvisi effettuati dal datore di lavoro al fine di prevenire abusi, non è sufficiente a configurare un licenziamento per giusta causa, laddove sia presente un codice disciplinare o una contrattazione collettiva che prevede, per tale infrazione, una sanzione conservativa (Cassazione sentenza n. 22353/2015).
Il caso di specie riguarda il ricorso presentato da un lavoratore licenziato per aver utilizzato in maniera impropria gli strumenti di lavoro aziendali e nella specie il personal computer in dotazione, le reti informatiche aziendali e la casella di posta elettronica.
Nei primi due gradi di giudizio è stata dichiarata l’illegittimità del licenziamento disciplinare intimato dal datore di lavoro in quanto gli addebiti attribuiti al lavoratore rientravano nella previsione del contratto collettivo di categoria, con applicazione della sanzione conservativa.
Secondo i giudici, infatti, non è stato possibile ritenere tale condotta più grave rispetto a quella prevista dalla disposizione contrattuale, in quanto non è emerso che l'utilizzo personale della posta elettronica e della navigazione in Internet avessero determinato una significativa sottrazione di tempo all'attività di lavoro, né che la condotta avesse realizzato il blocco del lavoro, con grave danno per l’attività produttiva.
Infine, la Cassazione ha nuovamente rigettato il ricorso presentato dalla società datoriale, ribadendo il principio che considera la giusta causa di licenziamento, così come il giustificato motivo, una nozione che la legge, allo scopo di un adeguamento delle norme alla realtà da disciplinare, articolata e mutevole nel tempo, configura con disposizioni (ascrivibili alla tipologia delle cosiddette clausole generali) di limitato contenuto, delineanti un modulo generico che richiede di essere specificato in sede interpretativa, mediante la valorizzazione sia di fattori esterni relativi alla coscienza generale, sia di principi che la stessa disposizione tacitamente richiama.
Tali specificazioni del parametro normativo hanno natura di norma giuridica e la loro disapplicazione è, quindi, deducibile in sede di legittimità come violazione di legge, l’accertamento della concreta ricorrenza, nel fatto dedotto in giudizio, degli elementi che integrano il parametro normativo e le sue specificazioni e della loro concreta attitudine a costituire giusta causa o giustificato motivo di licenziamento, è quindi sindacabile in cassazione, a condizione che la contestazione non si limiti ad una censura generica e meramente contrappositiva, ma contenga, invece, una specifica denuncia di incoerenza rispetto agli "standards" conformi ai valori dell’ordinamento, esistenti nella realtà sociale.
(Fonte: Teleconsul Editore)